porto di ortona matteo veleno

La Barca di Caronte nella notte del 1° novembre

Antiche Credenze dei pescatori di Ortona – di Franco Cercone

Nel suo famoso Saggio dal titolo “La grande festa. Vita rituale e sistemi di produzione nelle società tradizionali” ( Dedalo Ed., Bari 1976), il grande etnologo Vittorio Lanternari, passato da alcuni lustri a miglior vita, analizza una credenza ancora diffusa nella prima metà del secolo scorso fra i pescatori abruzzesi e in special modo ortonesi. Secondo tale credenza nella notte compresa fra il  1° ed il due novembre, vigeva per i pescatori ortonesi l’assoluto divieto di uscire con le barche in mare, perché le reti avrebbero pescato, in luogo dei pesci, teschi appartenenti  a marinai di qualsiasi località costiera, deceduti a seguito  di violenti nubifragi. Tra i marinai di Ortona a Mare, sottolinea il Lanternari, si narra in proposito la seguente e significativa leggenda. Nei tempi antichi i pescatori, allorquando si trovavano in mare e dovevano fronteggiare improvvise tempeste nella notte compresa fra il 1° e due novembre, scorgevano sempre una fioca luce che seguiva le loro barche ( i cosiddetti ‘fuochi di Sant’Elmo’) ed in tale luce credevano di identificare il fanale di un  “vascello fantasma” o “Barca di Caronte”, da cui  si udivano provenire voci stranamente contraddittorie, e cioè : “All’orza e puogge !”, parole che in gergo marinaresco indicavano  due movimenti opposti e contrari delle vele, equivalenti a “ Accosta e discosta !”. Le esortazioni dell’equipaggio infernale erano rivolte evidentemente a confondere le manovre dei pescatori locali, al fine di provocare il naufragio delle loro imbarcazioni, con conseguenze nefaste e drammatiche.

I rischi del mare  e soprattutto i naufragi venivano ricollegati dai pescatori ortonesi alla mitica “barca di Caronte”, adibita come è noto nel mondo religioso greco e romano al trasporto nell’Ade delle anime dei defunti. Sicché i resti di coloro i quali sono  morti in mare a causa di tempeste, che sogliono manifestarsi spesso nei primi giorni di novembre, emanavano per tradizione  un potere nefasto  sui pescatori della Città di San Tommaso e pertanto per antico timore questi non uscivano mai al largo nella notte fra il 1° ed il 2 novembre per la normale attività della pesca. Si credeva infatti che chi si avventurasse in mare nella notte della ricorrenza dei Defunti, avrebbe pescato solo teschi ed ossa  di naufraghi. Sottolinea a tal riguardo il Lanternari che  in questa leggenda, diffusa in tutte le popolazioni rivierasche  del Mediterraneo, riaffiorano alcuni aspetti importanti  del “Capodanno Celtico”, un “capodanno” che non era ‘calendariale’, come quello che vige nei nostri tempi e viene rappresentato plasticamente da una freccia scagliata che si perde all’orizzonte, ma ‘agrario e ciclico’, e perciò fondato su una visione cosmica e circolare in cui era compreso anche il ritorno dei morti. Un ritorno che avveniva tra il mese di novembre e dicembre per la rifondazione del tempo, quando con le prime semine ricominciava il ciclo produttivo della terra e sul mare l’attività della pesca, dalla quale si traevano le risorse per la sopravvivenza degli umili ceti marinareschi  e delle loro famiglie.

Da questa struttura provengono due credenze ancora radicate nelle popolazioni rurali: nella Vigilia di Natale occorre aggiungere “un posto a tavola” per le anime dei defunti, che silenziose ritornano in vita per partecipare nel corso della notte al Cenone natalizio.  Anche per le genti di mare , come sottolinea il Lanternari, l’interruzione della pesca nella notte compresa fra il 1° e 2  novembre equivaleva ad “una fine ed a un reinizio dell’attività umana, quasi un rudimentale Capodanno dei pescatori”, inserito tuttavia –come si è detto- in un calendario non rettilineo ma ciclico e dominato dal mito dell’eterno ritorno. Vi sono dunque diverse analogie nel calendario celtico tra il Capodanno religioso dei coltivatori e quello dei pescatori, specie quando –aggiungiamo noi- in un’area come l’Ortonese il pescatore era anche –se non soprattutto- un coltivatore. Ora questa duplice attività può forse aver contribuito alla formazione di un interscambio culturale fra genti di terra e genti di mare, fatto di miti, leggende e superstizioni andati purtroppo dispersi con inaudita velocità nel corso di circa sessanta anni.

Infatti il Lanternari trae queste preziose notizie da una tesi di laurea discussa a Roma nell’Anno Accademico 1949-50  da  un giovane laureando, G. Manfredi, nativo o forse residente in Ortona, tesi che si potrebbe rintracciare e pubblicare da parte della Civica Amministrazione, trattandosi di una preziosa finestra spalancata  sul  mondo ortonese, ma condannato purtroppo all’oblio. Perché di esso si è persa purtroppo ogni traccia, anche se si fruga in quella meravigliosa biblioteca ambulante che è appunto la memoria dei nostri  vecchi.

Fonte: www.abruzzopopolare.it

 

 

 

 

QUESTO SITO O GLI STRUMENTI TERZI DA QUESTO UTILIZZATI SI AVVALGONO DI COOKIE. SE VUOI SAPERNE DI PIÙ O NEGARE IL CONSENSO, CONSULTA LA COOKIE POLICY POLICY. CHIUDENDO QUESTO BANNER O PROSEGUENDO LA NAVIGAZIONE, ACCONSENTI ALL’USO DEI COOKIE.
OK, VA BENE